La donna di natale

Pubblicato: 26 dicembre 2011 in Uncategorized

Il vecchio si volta di scatto, nell’attimo esatto in cui la donna lo affianca. Lei cammina spesso a testa bassa, come sulla traccia di un sentiero di cose da fare, appunti di vita scritta, un ritaglio appeso al frigo, la lista della spesa o gli orari dei figli da recuperare. Lei, accorta del gesto “Mi scusi, lo so che fanno rumore”. Sul porfido di via Farini basta poco per battere il passo, ma le scarpe della donna, eleganza di anni altrove, suonano forte come di fretta che scalpita sotto i tacchi e non nevica più da una vita in questo periodo, quando ci sarebbe stato quel silenzio degli inverni da ragazzina.

Il vecchio mette in moto un domino di rughe e al centro della sua faccia si disegna un sorriso che ispira “Nooo…“ sfiora il braccio della donna, istinto d’affetto innocente “è che mi ricorda i passi dei Tedeschi in tempo di guerra. Facevano quel rumore lì e io li sentivo da quella finestra laggiù.” Il vecchio sorride ancora, fagotto di carta oleata sotto il braccio, spago, aroma di pollo arrosto, cenone in vista, tanto basta alla donna per moderare il passo. Quell’accostamento di storia, poi, le concede il privilegio di raggiungere Piazza Garibaldi fianco a fianco al vecchio, con la promessa di approfondire la fessura che involontariamente s’è schiusa sul passato dell’ inaspettata comparsa.

Accade così, con la lentezza di chi si dà il tempo per acciuffare la memoria in fuga, che lui le parla a lungo. Lei, pudica, castigata nel cappotto elegante di lana grezza, il collo lungo e fiero esposto al freddo di un mese che non fa sconti, non domanda nemmeno di fronte al desiderio inconfessabile di saperne di più: è il suo senso di colpa per aver banalmente indotto l’evocazione, è la sensazione di far rumore nella vita degli altri chiedendo di saperne la storia. Discreta e austera, non ammette nemmeno che un abbraccio sostituisca la stretta di mano o un bacio sulla guancia: sopravvivere alle feste e allo sperpero di convenevoli le sarà impossibile. Allora pare rimpicciolirsi nelle spalle, si stringe in se stessa incrociando le braccia più forte, la borsetta di pelle firmata a scaldare contro il petto, con gli occhi stanchi e dolci di chi è triste da un pezzo. Il vecchio è d’altro avviso e continua.

“Questa strada… sa perché ci sono affezionato? Sa quando oggi si conosce chi arriva dal rumore del motore… io riconoscevo le persone dall’andatura. E’ porfido comune, non è mica roba speciale, ma ti rivela le persone prima che tu le veda. Per carità… mica tutti son passi avanti… il passo dell’oca faceva rabbrividire: in questa via il rumore di quel passo là, mi ricordo, era come un fiume in piena in un alveo troppo stretto, che arrampicava l’acqua su per le facciate delle case… come un’onda ubriaca che sbatte di qua e di là… presente quando arriva la piena? Lei non è di campagna, dico bene? Vabè… adesso ci son tutti i lustrini che brillano, ci son le feste e va tutto bene. Sa, è come dare una mano di bianco in casa, dice che van via le crepe nei muri perché non si vedono più! Sembra pure che tutti son più buoni sotto le feste. Magari! Se tutti fossero più buoni vorrebbe dire che un pochettino lo erano anche prima. Dico bene?”

Camminano come cammina una coppia che si vuole bene. La piazza non è lontana, ma il racconto del vecchio è di quelli che ti fan fermare ogni due passi. Indica ora un balcone, ora una colonna, poi un lampione, un portone. La solita via di tutti i giorni è piena della via d’altri tempi. I ricordi scorrono come foto al posto di finestre. Le crepe nei muri sono le vene aperte di un passato ancora presente, ma solo con la fortuna di incontrare chi sa leggere quella storia scritta nei mattoni.

La donna ascolta avidamente, non guarda l’orologio e non pensa ai regali da impacchettare. La “donna delle liste”, si definisce, trasgredisce alla sua regola e si permette uno strappo. E non le dispiace.

Camminano.

Fino a “…quella finestra lì, vede? Io abitavo lì. Bè, sono tornato e ci abito ancora. Son dovuto andar via che ero poco più che ragazzo. Mi affacciavo da lì e li vedevo arrivare. Son scappato quasi subito e ho conosciuto quella che è diventata mia moglie. Eravamo in tanti a fuggire. Arrivati oltre il confine di notte, dicembre, freddo boia… mi scusi… E’ andata bene. Abbiamo avuto una figlia. Poi…” assorta nell’ascolto di quel passaggio la donna prosegue senza accorgersi che il vecchio s’è fermato indietro, gli occhi fissi avanti come guardasse la scena che rammenta e che non si può proferire. Tra il via vai inutile non vede più il vecchio e prima che un sentimento d’ansia le metta caldo eccolo fermo in mezzo alla zona pedonale, ignorato da tutti come chi è dimenticato e va salvato dall’indifferenza più che dall’ abbandono. La donna arretra decisa e si fa largo tra facchini natalizi. Si ferma davanti a lui, respirando forte al freddo “E poi?” dice lei, sentendosi più in colpa delle scarpe che fan rumore. Il vecchio la guarda come si fossero dati appuntamento e uno dei due è in ritardo da molto tempo “Poi siamo arrivati”.

La donna, ignorando d’esser ferma sulla porta di casa del vecchio, non si concede che l’attesa del racconto che continua. Guarda l’ingresso per non vedere gli occhi dell’anziano che le rimandavano il riflesso di lei, commossa, ormai del tutto assente al marito che senz’altro è in ritardo, sempre, alibi da lavoro, consuetudine che allevia l’abitudine al matrimonio.

Del vecchio immagina la casa, le foto, i cassetti e il tavolo della cucina senza riuscirci. “… poi… c’era la guerra… mi son salvato solo io. E’ andata male. E’ stato tanto tempo fa… Per carità…” fa il gesto di chi scaccia lo sciame dei brutti pensieri come le mosche dopo il concime “non voglio che dia colpa del mio ricordo alle sue scarpe! Ne parlo volentieri… sono i miei ricordi… anzi, ho una foto di mia figlia, la vuole vedere? Lei le somiglia molto, dico davvero, la vuole vedere? Sì, le somiglia proprio, non è straordinario come regalo di Natale? Voglio dire… ho incontrato lei per una coincidenza… Sembra fatto apposta. Mi scusi, io mi sto dilungando mentre è la Vigilia e sicuramente lei ha un marito che l’aspetta.”

Lei scrolla le spalle, sbuffa una nuvoletta che non è respiro, senza che il vecchio si accorga, preso a ravanare tra le tasche del tabarro vecchio di cent’anni. E’ tranquilla, i figli sono abbastanza grandi da non aver più bisogno della madre e la madre, da che ha smesso d’esser moglie, spera già nei nipoti che verranno a salvarla dalla solitudine.

All’improvviso il vecchio estrae dalla tasca la foto della figlia e gliela mostra “Che le dicevo?” Con gli occhi fissi sulla figlia in bianco e nero non si accorge che nevica, mentre sul viso della sconosciuta è pioggia. “E’ una foto un po’ rovinata… ma la somiglianza c’è tutta! Non è incredibile?!”.

Immobile, gli occhi appesi alla ragazza nella foto, muta.

E’ il vecchio a congedarsi “Buon Natale!” e scompare dietro la porta d’ingresso.

La donna, ferma sull’uscio, il leggero alito di poche parole “No, non è incredibile. E’ mia madre.”

L’odore del pollo arrosto è ancora nell’aria. Pochi istanti e sarà di nuovo sola.

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